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    L’artista Dalila Belato nel suo atelier

    Una dimensione di sensuale armonia ammanta le opere che l’artista palermitana progetta e realizza nel suo elegante e raccolto atelier immerso nello scorcio di città Floreale che è la scacchiera urbanistica dell’ex area espositiva del 1891-92.

    Diplomata all’Istituto d’Arte di Palermo, la strada artistica di Dalila viene intercettata dal fascinoso universo “parallelo” del restauro e dopo la frequenza ad uno dei corsi regionali dei primi anni Duemila, è proprio il restauro a diventare una di quelle passioni trasformate in lavoro, in spunti creativi, in suggestioni capaci di interagire e alimentare la propria misura artistica. «Tutto nasce ed e esce da questo luogo» tiene a precisare mentre descrive quanto importante sia per lei lo studio che sottende ai soggetti che plasma in resina, smalti, gesso e fil di ferro e che diventano volti e corpi baciati e animati da piccole api, immobili mosche, e seducenti farfalle, tutte alla scala reale 1:1, così realisticamente “vere” da sembrare impertinenze della natura nei riguardi del mondo artificioso dell’arte.

    Arte che in Dalila si esplica nella capacità di creare invisibili piani e punti di contatto tra il mondo visibile e curiosità aliene ma mischiate a rendere ogni opera un singolarissimo epicentro narrativo in cui la raffinata tecnica dell’autrice trasforma materia prima inerte in episodi incredibilmente empatici. Due libellule che si accoppiano generando il recinto iconico di un cuore, una piccola mantide argentata su una base di legno grezzo e un’altra gigantesca e iperrealistica la cui apparente pesantezza poggia un esili zampette, farfalle a baciare il bianco serpottiano di volti resinati, frame di visi riquadrati e assemblati in una mole elegante e dinamica che dalla scultura passa a divenire un quadro 3D.

    E poi c’è ancora quella dimensione di musicalità seducente governata dall’attenzione maniacale al dettaglio della natura, quello studio attento e animato dalla curiosità che lascia brillarle gli occhi, la consapevolezza di stare creando qualcosa che poco prima non c’era e che la natura progetta e realizza solcando le proprie mani d’artista perché senza, non può farlo.

    Tutto questo è presente ed espresso sotto forma di materia scultorea nel desiderio di rendere fisico, reale, soggetto al peso, quella rapidità fatta pensiero, in un rapporto costante e a tratti spirituale tra naturale e artificiale, tra dettaglio e interezza, in cui è il pensiero dell’artista a detenere il segreto delle cose, costruite da materia ma soprattutto immateriali e potenti, condizione intercettata dalla critica che la portano a vincere nel 2015 il premio di Arte italiana sezione scultura curata da Vittorio Sgarbi a Varedo.

    Opere dunque come estensione del proprio pensiero dinamico capace di “parlare” senza il rumore delle parole, nella velocità del gesto creativo, nella sensualità dell’armonia sinuosa delle forme animali, plasmate attraverso la fatica costante e libera della sperimentazione di tecnica e materiali, di aspirazioni, studio e dell’indispensabile “saper vedere” oltre.
    Oltre le cose, oltre la patina, oltre persino le aspirazioni più segrete e poco visibili.

    Ed ecco che Dalila, sotto l’ombrello di una volta ribassata e decorata con motivi Liberty di quella che a giusto titolo appare come la bottega di Salvatore Gregorietti, invera quel motto totale e breve di Paul Klee che vuole che l’artista non mostri il visibile, ma renda visibile la materia artistica per tutti noi curiosi. Dalila, la si potrà incontrare e osservare all’opera sabato18 giugno in occasione della rassegna “Ogni artista è un’isola” curata da Giuseppe Carli e promossa dalla Galleria d’arte Raffaello in via Notarbartolo n.9, 10-00/13.00 e 16.30/19.30.

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